Quod motus sit ens respectivum, febbraio 1677
A VI 4, 1970-71
Febr. 1677
Cosa mirabile: il moto è qualcosa di relativo e non si può distinguere, tra i corpi, quale si muova. Pertanto, se il moto è un’affezione, il suo soggetto non sarà nessun corpo singolo, bensì tutto quanto il mondo. Ne risulta pure che, necessariamente, tutti i suoi effetti sono relativi. Il moto assoluto che ci immaginiamo, invece, altro non è che un’affezione del nostro animo, nel momento in cui consideriamo immobili noi stessi o le altre cose, in quanto considerandole come immobili possiamo comprendere più facilmente tutte le altre. Dal fatto che il moto non è un’affezione di un singolo corpo, ma dell’intero mondo, risulta evidente che la causa prima di tutte le cose e del mondo intero è unica, né vi sono altre intelligenze che muovano i diversi astri.
Bisogna notare tuttavia che, considerando il moto non in sé formalmente, ma sotto l’aspetto della causa, lo si può attribuire al corpo dal contatto col quale scaturisce un mutamento. Se mi chiedessero perché questo fuoco brucia e rispondessi: “perché bruciava il fuoco con cui è stato acceso”; o se rispondessi allo stesso modo su qualunque altra cosa, oppure se dicessi: “perché quel cane abbaia? perché abbaiava il cane suo padre”, non spiegherei nulla: neanche se andassi avanti così all’infinito giungerei a spiegare perché i cani abbaiano, ossia qual è la causa del loro abbaiare.
Un esempio migliore è la saldezza, che taluni spiegano con la pressione reciproca delle assi: ma devono spiegare donde le assi stesse abbiano la loro saldezza, oppure ammettere che non hanno spiegato completamente proprio nulla e che non comprendono la ragione della solidità se non supponendo un’altra solidità. Dunque non hanno dato una spiegazione assoluta della solidità. Ne seguirebbe che la solidità spetti al corpo di per sé, il che è assurdo.
Dal fatto che il moto è un ente relativo segue che non esiste il vuoto, in quanto ne consegue che nel vuoto non c’è moto, dato che non c’è nulla mediante cui lo si possa discernere. Ciò che neppure l’onnisciente può discernere, è nulla.
— trad. ep 2011 LLab